La mia minestra di primavera. E Le Virtù del Primo Maggio.
La stagione della rinascita, sin dall'antichità, è sempre stata festeggiata con rituali di buon auspicio per i raccolti. E a tavola?
Buongiorno e ben trovati. E buon Primo Maggio!
Ahimè sono in gran ritardo e ti scrivo solo a fine serata, ma negli ultimi giorni sono stata messa a dura prova da un’influenza con febbre e mal di testa molto forte che non mi ha permesso di completare questa newsletter.
Mi sono sempre chiesta come mai e proprio in questo periodo ci fossero così tante minestre. La spiegazione è da ricercare sicuramente nel passato, anche piuttosto lontano.
Nel calendario agro-pastorale il mese di maggio è sempre stato un mese importantissimo, decisivo per il futuro raccolto, per questo ricco di riti di ringraziamento e di propiziazione dell’acqua, vitale ed indispensabile per i raccolti, gli animali e per la vita stessa.
Nel mondo contadino questo mese era chiamato Costa di maggio, con naturale riferimento a quel lavoro faticoso e quotidiano che adesso era richiesto, ma sopratutto alla precarietà che si viveva (la terra in questo periodo offriva poco sostentamento) e all’angoscia per il raccolto futuro. I riti propiziatori aiutavano a esorcizzare questo difficile passaggio.
Sicuramente ti sarà capitato di assistere alle infiorate di maggio o alle feste intorno al cosiddetto albero di maggio, alle danze. Ovunque, e non solo in Italia, sono miriadi le tradizioni legate a questo mese.
Mentre scrivo, rivivo i ricordi di una festa particolare dell’otto maggio, a Rapino, in provincia di Chieti, dove ancora oggi la cittadina si raduna intorno alla processione delle Verginelle, le bambine sono vestite di bianco e coperte da monili d'oro. Si ricorda la Vergine che nel passato salvò la zona da una terribile siccità. Una tradizione che - ancora una volta- trae origine da antichi culti agrari.
Per gli antichi Romani, infatti, maggio era dedicato a Maia e ai Floralia. Maia era associata alla fertilità e alla crescita, e il primo maggio si sacrificava una scrofa gravida per assicurare la fertilità della terra. I floralia erano feste in onore del culto della dea Flora, protettrice dei boccioli e delle fioriture.
E queste feste avevano i propri piatti tipici, come ovvio che sia.
A cominciare dalla Panspermia, di ellenica memoria, preparata per le feste primaverili dedicate a Dioniso. Alla base di questa minestra, tanti semi misti (da sempre ritenuti simbolo di rinascita), gli stessi semi e legumi che durante quelle feste di maggio venivano sparse sulle persone per auspicare la fecondità.
L’usanza della minestra fu mantenuta anche nell’antica Roma dove assunse il nome di virtutes, la cui radice virtus conserva il significato di forza (energia), quella stessa che ci si attende dal nuovo ciclo produttivo.
E nelle nostre culture cosa è rimasto? Molto, e non solo in Italia. Minestre di cereali e legumi sono popolari in tutta l’area mediterranea.
Come non ricordare la cicciata cilentana? O le tante pignatte di legumi e cereali che erano distribuite ai meno abbienti durante queste feste?
In Abruzzo, ad esempio la stessa pignatta assume nomi diversi a seconda della zona: Granati a Torricella Peligna, Tottemajje a Pescocostanzo, Lessame ad Atessa, Richiamati a Guardiagrele, Risucci e Suffitelli a Civitella Alfedena-Cocullo.
A Teramo il nome è sontuoso, importante, ricorda il piatto degli antichi romani, e sono Le Virtù, che - è bene subito chiarire il concetto - non sono un minestrone (per carità, non definitelo così, i teramani se ne risentirebbero!). Molto più di una pignatta di legumi cotti con parti del maiale. Tanto, ma tanto di più di un misto di verdure con vari formati di pasta, insaporito con qualche erba aromatica particolare…
Per giorni interi a fine aprile c’è un gran da fare nelle case (oggi soprattutto nei ristoranti) per reperire e cuocere i tanti ingredienti che formano il saporitissimo piatto del Primo Maggio ormai noto anche fuori dai confini regionali. Non è solo un piatto, non solo un rituale, è una città che con orgoglio difende questa tradizione.
Nell'elaborazione entrano e si confondono diverse stratificazioni culturali con il suo ricorrente numero 7 (7 qualità di verdure, 7 di legumi secchi, 7 di legumi freschi, i 7 tipi di pasta, 7 qualità di carne). Un piatto che sicuramente racchiude gli antichi riti cerealicoli pagani, ma unisce anche la parsimoniosa amministrazione della dispensa. La brava e virtuosa massaia sapeva conservare a dovere e utilizzare tutti gli avanzi, senza sprecare nulla. E virtuosa era ed è sicuramente la donna che pazientemente elabora questo piatto così equilibrato (occorrono almeno tre giorni), dove gli ingredienti si amalgamano insieme senza che un singolo sapore prevalga sugli altri. Dove sono pedissequamente rispettate le temperature degli ingredienti, le rigorose tempistiche.
A me piace ricordare Le Virtù anche per il loro valore simbolico: secondo la tradizione chi le prepara ne deve far dono anche agli amici. Un piatto da condividere, che sicuramente solidifica i rapporti di amicizia.
La cucina, ancora una volta, unisce, allarga le braccia, riappacifica, porta sorrisi.
E proprio per questo valore simbolico si ha anche il giusto contenitore per non portare a tavola le virtù con il pentolone!
A pochi kilometri da Teramo c’è Castelli, il noto borgo della ceramica. Ancora oggi c’è chi foggia (a mano) la scarafaje. E pochi giorni fa sono andata per vedere la produzione di questa che vedi in fotografia.
Antonio Di Simone conserva ancora passione e maestria tramandati dal padre e quando gli ho chiesto “ma perché deve essere così grande?” La risposta è stata “perché deve contenere almeno venti porzioni di virtù!” a testimonianza della generosità che racchiude questa preparazione.
Ho la fortuna di avere una, bellissima, decorata con i fiori della primavera e confesso non ho mai avuto l’occasione di usarla!!! Prima o poi succederà, chi viene?
Ora tu mi chiederai: e la ricetta? Ah, meglio passarti direttamente il disciplinare che fa chiarezza su ingredienti e procedure! So che già nel leggere il lungo elenco ti spaventerai e lascerai perdere l’idea di cimentarti. Quello che puoi fare è prendere appunti per il prossimo Primo Maggio e far sì di essere in zona e andarle a provare in uno dei ristoranti che ancora oggi le preparano in modo egregio.
Qui, invece ti passo la mia idea di minestra di primavera che sicuramente trae ispirazione proprio da quelle, ha un misto di legumi freschi e secchi, di verdure di stagione, e di erbe aromatiche.
Ancora una volta, impossibile darti una ricetta esatta, ci vuole sentimento, le verdure non saranno mai uguali, e da loro dipende tutto o quasi. Ecco come la faccio.
Preparo una base di porro (la parte verde la metto in pentola con acqua insieme ad altri scarti e ne preparo un brodo) e cipolla fresca, compresa la parte verde, sminuzzata, e cucino qualche minuto insieme a due cucchiai di olio, mescolo spesso, a fuoco medio.
Unisco i fagioli già tenuti a bagno (i miei questa volta erano i bianchi, tondino del Tavo), ma puoi metterne più qualità e ti consiglio di cercare le tante specialità locali, aggiungo successivamente delle patate a dadini e della carota. Mescolo e proseguo la cottura per 5-6 minuti. A questo punto unisco un bel po’ di verdure miste spezzettate (sopratutto erbe di campo, cicoriette e bietoline, spinaci, per me è importante che ci sia la borragine, altrimeni non sarebbe una minestra primaverile). Aggiungo anche legumi freschi, piselli e fave, e qualche asparago (meglio se quelli selvatici) e dei carciofi tagliati sottilmente. Dopo aver insaporito il tutto, verso del brodo vegetale. Unisco anche 2-3 pomodori secchi e se ho a disposizione una crosta di formaggio, la gratto bene, la lavo e la aggiungo al tutto. Porto a ebollizione, faccio cuocere per circa un’ora.
A fine cottura aggiungo un bel mazzo di erbe aromatiche: erba cipollina, menta, maggiorana. A volte anche basilico (non amo il prezzemolo), e dei ciuffi di finocchio.
Completo con un filo d’olio, pepe e servo con del pecorino poco stagionato
Se aggiungo riso o pasta, oppure dei cereali quali orzo o farro, evito le patate. È un piatto completo, ricco di sapori diversi e ogni volta diverso. Chiunque lo assaggi ne rimane colpito.
E quando mi chiedono “qual è il tuo “segreto” ? La risposta forse la conosci anche tu che mi segui qui. Come sempre è nell’armonia, mai erbe amare in eccesso (che però devono assolutamente essere presenti altrimenti non sarebbe una minestra di primavera) e solo ingredienti freschi e legumi eccellenti!
Spero che questa minestra ti sia di ispirazione e che questo excursus di stagione sia stato di tuo gradimento. Se vuoi puoi condividerlo
Io ti mando un caro saluto e ti aspetto sempre qui, intorno alla mia tavola!
Francesca
Grazie per questo bellissimo contributo ❤️
Cara Francesca, grazie per questo bel racconto di primavere! Mi hai riportato alla memoria, facendomi vibrare il cuore, due storie della mia amata Basilicata. Terra di grano e che grano! La Saragolla Lucana, ritenuta la capostipite dei più moderni grani duri.
La prima storia riguarda Pomarico, piccolo paesino in provincia di Matera, con il suo amato Santo Patrono: San Michele, uno degli Arcangeli. Come ben sappiamo, San Michele si venera il 29 settembre. A Pomarico, si venera anche l’ 8 maggio, in ringraziamento di un miracolo compiuto in quel giorno per salvare la popolazione da una tremenda carestia di grano.
L’altra storia riguarda Matera (ma anche i vari paesini della provincia) ed uno dei suoi piatti tipici: “la crapiata”. Piatto composto da un misto di legumi che si condivideva per festeggiare il raccolto! Vi è una ricorrenza proprio il 1 di agosto.
Voglio anche aggiungere una curiosità legata ai semi e ai riti propiziatori.
I cosiddetti “sepolcri”, fatti generalmente con semi di grano germogliato e che adornano gli altari il giovedì Santo. Sai, io li preparo tutti gli anni per Pasqua!