La Pizza Dolce. O Pizza Dogge, Pizza doce...
Una torta per le grandi occasioni. Quale può essere la festa della mamma.
Buongiorno e ben trovati.
Ho pensato a lungo a una ricetta dolce per la festa della mamma. Ho spulciato tutto il mio ricettario e alla fine ho scelto questa torta. Densa com’è per me di sentimenti e ricordi. Che sono riaffiorati proprio quando sfogliavo il mio quaderno.
E che qui oggi condivido con te…
Il primo ricordo legato a questa torta è nitido, nonostante avessi solo 5 anni.
Mia madre veniva spesso invitata ai matrimoni di ex alunni. Tempi in cui la figura della prof (d’italiano, lei) era assai importante. Un punto di riferimento.
E mamma lo fu davvero tanto. Quante volte la nostra casa aveva visto la salsa da pranzo trasformata in aula di scuola pomeridiana. Tutti intorno al gran tavolo per approfondire o recuperare, completare, prepararsi al meglio.
Mamma era molto esigente, ma altrettanto generosa. Aveva sempre creduto nell’istruzione, unica strada per un futuro migliore di chi non aveva avuto la fortuna di nascere in una città o un paese più grande. Quell’anno (1960) molte nuove scuole medie avevano aperto i cancelli mentre piccole case di campagna attrezzate alla meglio accoglievano i bambini delle contrade che potevano imparare a leggere e scrivere. Mamma lasciò Roma, andò nel piccolo paese montano abruzzese dove a stento arrivavano i giornali.
Lei arrivò con i libri di latino per finire i suoi esami e una valigia carica di grinta e coraggio. Quelli di una ventiduenne che voleva mettersi dei soldi da parte per poi partire per Londra e fare le sue ricerche per la tesi. Lasciò le amiche del collegio e i tramonti romani, ma con un arrivederci. Sicura fosse solo una breve parentesi.
Gli insegnanti mancavano ovunque, sua cugina era andata prima di lei e aveva aperto la strada. Insieme, unite più che mai, presero una camera in affitto dalla signora Elodia che offrì loro caffè e pizzelle. Alte e soffici. Insieme affrontarono l’inverno che lì era sempre molto freddo e la realtà di un paese difficile, a trenta kilometri dalla loro Lanciano, eppure così lontana. Ma l’aria era buona e mamma dopo pochi mesi non seppe resistere alla corte di un bel ragazzo dagli occhi magnetici.
Una grande vocazione la sua. Attenta agli ultimi ma anche alle eccellenze. Credeva nella scuola e credeva in ogni alunno. E inculcava alle ragazze che dovevano studiare per essere indipendenti. Figuriamoci quando veniva a conoscenza di padri che non volevano che le figlie studiassero per non perdere il loro controllo, della forza lavorativa di una terra ammantata di neve per mesi, difficile, ma che garantiva il pane quotidiano. Quanti padri semplicemente non volevano figlie emancipate!
E quante nonne, vestite di nero per i lutti senza una fine, con le gonne lunghe fino alle caviglie e il grembiule - anch’esso nero - che si trasformava in una sacca in cui mettere le patate o le verdure prese all’orto, avrebbero potuto accettare una nipote che si chiudeva in una stalla con un libro in mano e che casomai andando in città avrebbe indossato i collant e la minigonna, come si cominciava a vedere nelle pubblicità.
Figuriamoci se quei pochi denari messi da parte con gran sacrificio bisognava usarli per mandare la ragazza in collegio. Quei soldi, semmai, potevano servire per completare il corredo, poter affrontare le spese di un matrimonio. Mamma andava nelle case a parlare con i genitori per far capire il valore dello studio. A volte tornata a casa trionfante, a volte delusa. Ma non mollava, mai.
Così mamma diventava una di famiglia, veniva invitata alle cresime, ai matrimoni. Successivamente ai battesimi. E fu così che quell’agosto andammo insieme a un matrimonio di un ex alunna.
Agosto era un mese di matrimoni. Perché in paese tornavano molti emigrati, quelli che erano andati a trovare maggiore fortuna nelle fabbriche della Germania, del Belgio, della Svizzera. E una volta l’anno tornavano in paese con la macchina nuova, segno di benessere conquistato. Portavano la cioccolata ai bambini, e i biscotti confezionati nelle scatole di latta e anche qualche soldino in più. Così si poteva fare una bella festa.
Il paese si ripopolava e le donne sedute tutti i giorni davanti alle loro case, intente a sferruzzare e raccontare gossip, avevano nuovi argomenti di cui parlare….
Io e mamma andammo al matrimonio, partimmo con la sua cinquecento celeste. Mi sentivo una principessa. I fratelli a casa con papà. Mia sorella, di pochi mesi, con la tata e nonna. Finalmente, io e mamma. Sole.
Accolte con esultanza, sedute nei posti importanti, vicino ai genitori degli sposi. Io subito invitata a giocare al gioco della campana. Quadrati disegnati con il gessetto e le pietre da spingere dall’uno all’altro saltando su una sola gamba. Fino ad arrivare alla campana per poi tornare indietro. Avevo caldo, dai riccioli scendevano gocce di sudore che inumidivano il cerchietto con i fiorellini che tanto avevo desiderato per l’occasione, perfetto per il vestitino, anch’esso a fiorellini. E mai avrei voluto si rovinasse. Dopo poco tornai al mio posto.
Il pranzo, come da tradizione, lunghissimo. Non so quante portate tra timballi, conigli porchettati e polli cotti in più modi. Ogni tanto intonavano i canti, accompagnati dal suono altalenante della fisarmonica, gioioso e allo stesso tempo malinconico. E tanti si radunavano al centro dell’aia per poter ballare.
Balli di coppia con incroci di mani. Balli festosi e grandi risate. Fino a che la luce del sole cominciò a calare.
Arrivò la torta. E mai avrei immaginato potesse essere così grande. O per lo meno, io la ricordo gigantesca!
Portata con orgoglio dal padre della sposa con il corteo di amici. Eccola, tutta bianca e rivestita di corallini colorati. Quanto era bella ai miei occhi!
Sin da piccola, ogni volta che mi colpiva una torta, la fissavo subito nella memoria. Immaginavo sempre il compleanno successivo e la torta che avrei voluto (a pensarci, ora capisco meglio certe mie passioni…).
La torta non era certo per bambini e mamma mi fece assaggiare la crema ma non la bagna. Bastò così poco per innamorarmi di quei sapori. Sapori che mi sono rimasti sempre impressi, li ho portati con me e ricercati. Tant’è che oggi il dolce che forse amo di più è la semplice crema pasticciera, servita in tazza, con delle amarene (sul libro Appunti d’Inverno).
La ricetta della Pizza dolce è sul mio sito, questo il link.
Io ti saluto, ti auguro un buon fine settimana.
Un caro saluto
Francesca
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