Fritti, frittelle e tavole imbandite per Carnevale
E le tradizione particolari, due ricette golose, una filastrocca attribuita al Vate e qualcosa in più...
Buongiorno e buon inizio di marzo.
Marzo, il mese della rinascita. E speriamo sia davvero così!
Marzo in giapponese deriva da Yayoi che significa “la crescita rigogliosa e progressiva della vegetazione”. È il mese in cui per la cultura giapponese si contemplano i fiori, si sogna, entra la primavera.
Che bella cosa poter contemplare i fiori, no? Basta poco, avere delle pratoline in un vasetto è già un modo per poter fermarsi un momento e ammirarle. Ah, io non potrei fare a mano di qualche fiore di fronte a me mentre faccio colazione. Inizio meglio la giornata. Lo so, sono una sognatrice, ma sono anche convinta che se ci soffermassimo di più a guardare/ammirare la Natura, i nostri animi sarebbero più pacati.

Intanto, in cucina, dove ho altri bulbi fioriti, mi aspetta una pentola di olio pronta per accogliere qualche pezzo di pasta lievitata (hai mai provato le pizze fritte?).
Succede raramente ma oggi friggerò, se non altro per rispettare la tradizione. Perché questo è periodo di feste e baldorie, e della gran frittura. Qualsiasi cosa, purché sia fritta! Tradizione che sicuramente affonda le radici in un passato di regole rigide e cibo accessibile a pochi.
Una festa, quella del Carnevale, che per gli antichi romani era considerata la più trasgressiva. Una festa dove si godeva di cibi succulenti e grassi. Era la grande festa della fecondità della terra, festa di auspicio per i frutti della terra dopo il sonno invernale. Erano i giorni del passaggio dall'inverno alla primavera, della purificazione e poi rinascita.
Un passaggio molto sentito anche altre culture, è l’alternarsi di morte/vita, oblio/luce. Se ci pensi, non dissimile dalle feste per l’ingresso dell’anno lunare. Ricordi? Ne ho parlato qualche newsletter fa. Se hai l’applicazione Substack puoi accedere facilmente e cercarla. Ecco come fare:
L’eredità di quel passato è nelle feste che dall’epoca cristiana nascono e si moltiplicano da nord a sud Italia tra ludus carnevalarii, feste, balli e sfilate dei carri carnevaleschi. Di nuovo, momenti di abbuffate, sì, ma a quei tempi si lottava per la fame! Feste di trasgressioni e di burle, quando bastava poco per essere scomunicati. Le famiglie importanti, attraverso lo sfoggio di addobbi e carri, affermavano la propria potenza.
Tutt’oggi, il carnevale di Venezia è uno dei più famosi al mondo, e l’italia tutta, da Viareggio a Putignano o Cento, senza dimenticare Ivrea (con la famosa battaglia delle arance), Mamoiada, (in Sardegna, particolare perché i protagonisti si vestono di nero, sfoggiano volti tristi, indossano pellicce di pecora nera e maschere cupe), o Tricarico, (in Basilicata, con una tradizione con un forte legame al mondo animale e quindi al mondo contadino), o Verona (con il celebre Bacanal del Gnoco, istituito da Tommaso da Vico nel 1530 per distribuire un pasto più ricco ai meno abbienti, quando la città subiva il sacco del Lanzichenecchi), è un continuo di raduni nelle piazze e sfilate di maschere con pioggia di coriandoli.
Ultimamente si è tornati a valorizzare queste tradizioni, c’è un gran lavoro di ricerca, e anche a livello europeo si sostengono gli studi su maschere e feste (con il progetto Carnival King of Europe). Sicuramente un buon motivo per viaggiare, vivere un’esperienza diversa, scoprendo o riscoprendo un pezzo di storia e tradizione locale.
In Abruzzo, ad esempio, a Castiglione Messer Marino l’ultima domenica di Carnevale si organizza la mascra, un corteo di maschere guidato da coloratissimi pulcinella che corrono per le vie del paese indossando dei cappelli alti (70 centimetri e oltre) a forma conica, con pennacchi, fiori di carta e lunghi nastri colorati detti zagarelle colorate. Come contorno sonoro alla sfilata c’è la corsa chiassosa dei pulgénelle, che con i campanelli a tracolla e sulla cintura, e le scruijazze (le fruste che vengono battute sul suolo e poi sollevate in cielo) richiamano l’attenzione dei partecipanti.
E a tavola?
Purché sia fritto, purché sia grasso! In passato, dalle feste pagane a quelle religiose, in questo periodo era concesso tutto, dal divertimento sfrenato all’abbondanza di cibo e vino. I romani sappiamo che mangiavano molte noci, mandorle o datteri e si regalavano dolcetti, detti frictilia. Probabilmente erano le “frittelle a base di uova e farina di farro tagliate a bocconcini, fritte nello strutto e poi tuffate nel miele”, di cui parlava Apicio (cuoco e scrittore romano vissuto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.) nel De re coquinaria. Dalle frictilia alle frappe tutto sommato il passo è breve!
Immagini come potessero essere sfarzosi i pranzi rinascimentali? È allora che e Lorenzo il Magnifico cantava “Quant'è bella giovinezza che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia del doman non c'è certezza" incitando a vivere allegramente quel momento della festa.
Anche le chiese organizzavano momenti per far divertire i fedeli con scherzi e barzellette e la cottura in piazza di calderoni di legumi con le cotiche o la distribuzione dall’alto di fritti e salsicce. Il tutto serviva a rallegrare gli animi per disporsi meglio a vivere e reggere la rigidità della lunga Quaresima.
Oggi, al di là di un pranzo con gnocchi o lasagna o paste particolari (come i maccheroni al ferro o la pasta cinque buchi catanese) obbligatoriamente condite con ragù, le frittate o le torte salate con salsicce (famose quelle altoatesine o quelle sorrentine), e con i dolci tipici, la maschera e le feste serali, non viviamo più il Carnevale e la Quaresima di un tempo. Non si è più sentito parlare, ormai da decenni, di 9 pasti in una giornata, ognuno di 9 portate. Molto probabilmente Gabriele D’Annunzio ne aveva vissuti tanti, se nella filastrocca a lui attribuita scrive così:
Carnevale vecchio e pazzo
s’è venduto il materasso
per comprare pane, vino,
tarallucci e cotechino.
E mangiando a crepapelle
la montagna di frittelle
gli è cresciuto un gran pancione
che somiglia ad un pallone.
Beve, beve all’improvviso
gli diventa rosso il viso
poi gli scoppia anche la pancia
mentre ancora mangia, mangia.
Così muore il Carnevale
e gli fanno il funerale:
dalla polvere era nato
e di polvere è tornato.
Non più mangiate a crepapelle, oggi, ma a al fritto no, non si rinuncia.
E allora che fritto sia!
A cominciare dalle chiacchiere (o frappe, sfrappole, crostoli, galani, gale, bugie, lattughe, e infinite denominazioni per la stessa preparazione), negli ultimi giorni oggetto di discussione perché un famoso pasticciere le vende a ben 100 euro al chilo. Non commento.
Spero solo di invogliarti a prepararle in casa!
La mia ricetta è on line, sul sito. Dove trovi anche quella della cicerchia, che è sempre stato il dolce di Carnevale di casa mia.
Se invece preferisci un salato, ti consiglio i fritti di patate. Perfetti per una cena alternativa, con salumi, formaggi e qualche verdura. La ricetta è sul mio libro Appunti d’Inverno. Mentre le pizze fritte, altrettanto golose, sono sul libro Appunti d’Estate.
Oggi come scuola di cucina (riservata agli abbonati) vediamo step by step con “trucchi e segreti” (che non ci sono in cucina, estate solo tecnica e metodo!), i tortelli con mele e uvetta. Che buoni!!! Uno tira l’altro, golosissimi!!
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