Ci siamo. Tra poche ore e suoneranno a festa le campane.
Mai come in questo periodo dell’anno io sento forte il richiamo della mia terra d’origine.
Non avendo più gli impegni legati al calendario scolastico dei figli, la mia partenza per l’Abruzzo è sempre più anticipata. È qui che trascorro il Natale. E poter arrivare qualche giorno prima significa poter fare visita ai parenti, andare al cimitero a trovare i nostri cari. E sopratutto poter partecipare ai preparativi dei piatti della tradizione.
Inoltre, desidero che la casa accolga con calore i miei figli che arrivano per trascorrere con noi le festività. Quindi, anche qui preparo l’albero, le decorazioni, il presepe. Loro non hanno mai vissuto in Abruzzo se non per le vacanze, ma credo che sentano lo stesso richiamo e attendano certi rituali del periodo. Di sicuro quando arrivano qui vorrebbero assaggiare tutte le specialità del territorio…
(un’immagine di Gessopalena, il paese di origine dei miei nonni paterni, dove ho trascorso tanti Natali).
Appena arrivati sono andati a salutare le nonne e mia zia che come anno ci ospita per il pranzo di Natale. La prima cosa che hanno chiesto se il menu di quest’anno prevedesse o meno il ragù d’agnello... In fondo, credo che sentire proprio e poter vivere un luogo, una casa, e anche un piatto sia un vero dono.
Quando, anni fa, il Delegato dell’Accademia Italiana della Cucina (delegazione Milano) mi ha chiesto di organizzare un pranzo di Natale abruzzese, ho accolto con piacere l’ invito e per l’occasione ho scritto un libretto per consentire a tutti i partecipanti di poter entrare nello spirito.
Fu una festa molto bella, eravamo alla Società del Giardino e al tempo il servizio di ristorazione era gestito dal fratelli Cerea (ristorante Da Vittorio). Io per due giorni andai al loro ristorante di Brusarporto per aiutare i cuochi nella preparazione di sfogliatelle, scripelle e calcionetti, tutti piatti che loro non conoscevano.
Dall’Abruzzo feci arrivare prodotti particolari, difficilmente reperibili a Milano. Dai pecorini di Farindola ai formaggi di Gregorio, ai torroni di Guardiagrele e Atessa, fino alle patate turchesa e ai cachi sotto’olio. Fu una serata davvero speciale. E ognuno portò a casa il mio libretto. Graditissimo.
(in foto, i taralli di Nonna Tilde, nei piatti di ceramica di Castelli)
Quest’anno, complice Facebook che mi ha ricordato quell’evento di dieci anni fa, ho voluto riprendere in mano quel libretto. L’ho stampato e regalato ai miei amici. E sfogliandolo mi ero riproposta di preparare i taralli di Nonna Tilde. Ma non ne ho avuto il tempo. E poi…
Ieri nel fare la spesa ero rimasta molto colpita da due episodi che mi hanno fatta riflettere parecchio e quindi alzare presto, nonostante la stanchezza, e mettere le mani in pasta.
Il primo, al mercato, mentre attendevo di essere servita al banco della verdura. I mercati locali si sa, sono luoghi fantastici, si parla sempre di cucina e le signore si scambiano suggerimenti per la migliore riuscita dei piatti. Ieri tutti raccontavano i preparativi per la tavola delle festività.
Una signora lamentava i dolori alle mani poiché aveva fritto i calcionetti tutto il giorno precedente. A quel punto un’altra signora è intervenuta dicendo che non li fa più, compra sempre quei dolcetti al panifico di fiducia. Ed ecco che immediatamente è arrivata la risposta secca “le tradizioni vanno rispettate. Ormai vanno tutti a fare le mani e i capelli e nessuno cucina”. Silenzio tombale. Io le avrei dato un bacio in fronte, e avrei sottolineato il fatto che la nostra cucina è un patrimonio importante. E che dobbiamo difenderlo. Mi sono astenuta.
L’altro, ascoltando due signore che si salutavano invitandosi reciprocamente a “farsi visita”.
Ecco, sono tornata indietro nel tempo, quando in questi giorni a casa nostra c’era un via vai continuo: parenti, compari e commari, ma anche gli amici, i vicini. Tutti a far visita. Perché lo scambio degli auguri era un rituale importante che comportava bussare alla porta di casa. La guantiera dei dolci, ben chiusa e tenuta nella stanza più fredda (il salotto) era sempre pronta, così il vassoio con le tazzine e il caffè da preparare all’occorrenza.
Dunque, stamattina ho preparato i taralli di Nonna Tilde e apparecchiato la tavola. E poco dopo è arrivata un’amica, abbiamo preso un tè, le ho offerto i dolcetti.
Per me, Natale è anche questo. In parte racchiuso nel mio libretto da cui la ricetta dei taralli che nonna preparava in gran quantità. I suoi, imbattibili. Peccato non averli mai fatti con lei, pian piano mi sono avvicinata ai suoi, ho sperimentato tante volte per arrivare a questo risultato. E mi fa piacere condividerli con te!
Taralli di Natale
Due nonne, due tradizioni diverse, anche se a pochi chilometri di distanza.
Nonna Tilde, di Lanciano, per Natale preparava in modo egregio questi taralli.
Il ripieno può essere di semplice scrucchiata, ma più spesso mista a scorza d’arancia, cioccolato, mandorle o noci tritate, qualche biscotto secco sbriciolato, un po’ di caffè. Il tutto, cotto a fiamma molto bassa fino a far sciogliere il cioccolato. Difficile dare delle dosi esatte, io ci provo ma poi, assaggiate ed aggiustate il tiro, a vostro piacimento!
La pasta esterna, invece, è molto semplice: olio e vino in parti uguali (ma c’è chi mette olio in misura doppia rispetto al vino) e la farina “che si tira”. Niente zucchero: la nota dolce è data dal vino bianco e, volendo, dopo la cottura si possono spolverare con dello zucchero a velo, oppure semolato, da aggiungere quando sono ancora caldi. Niente uova: dopotutto d’inverno era più difficile reperirle.
Come dicevo, per poter fare questi dolcetti è importante avere l’ingrediente base del ripieno, la scrucchiata, la tipica confettura realizzata con uva Montepulciano d’Abruzzo.
Ad uno ad uno si schiacciano gli acini premendoli tra il pollice e l’indice per eliminare i vinaccioli, e da questa operazione di scrocchiatura o sclucchiatura deriva il nome dialettale di scrucchiata o sclucchiata.
Quando ho trascorso all’estero le festività natalizie, non volendo rinunciare alle preparazioni di casa mia, se non avevo a disposizione la scrucchiata utilizzavo confettura di prugne mista a quella di ciliegie o amarene.
500 g circa di farina 0
160 ml di olio extra vergine d'oliva
160 ml di vino bianco
sale
300 g di scrucchiata
70 g di cioccolato
la scorza grattugiata di 1 arancia
80 g di mandorle tritate (o noci)
2 cucchiai di caffè
1 cucchiaio di liquore all’arancia
Preparare la “marmellata condita” mettendo tutti gli ingredienti — tranne il liquore — in un pentolino e scaldare fino a qua do il cioccolato sarà sciolto. Spegnere il fuoco e lasciare raffreddare (questa operazione può essere fatta il giorno prima)
Scaldare il vino con l’olio ed emulsionare battendo con una frusta.
Versare i liquidi in una ciotola e, mescolando con un cucchiaio di legno, unire la farina e un pizzico di sale.
Scaldare il forno a 160°C.
Trasferire l’impasto sul piano di lavoro. Avvolgerlo nella pellicola e farlo riposare per un’ora.
Stendere la pasta sottilmente, tagliarla con un tagliapasta tondo, mettere una cucchiaiata di ripieno, piegare sigillando bene i bordi, unire le punte ottenendo dei tortelli. Disporli su una teglia da forno foderata con carta da forno e cuocerli in forno già caldo per 20 minuti circa.
La ricetta è tratta dal libro Natale in Abruzzo. Non è in vendita. È in allegato, ma riservato agli abbonati della newsletter.
Con i miei più cari auguri di Buon Natale. Dolce, dolcissimo.
Francesca
Continua a leggere con una prova gratuita di 7 giorni
Iscriviti a A Tavola! per continuare a leggere questo post e ottenere 7 giorni di accesso gratuito agli archivi completi dei post.